Chi se li ricorda? Nei primi film di 007, quelli anni ’60, i grandi computer e la tecnologia più avanzata era a disposizione dei cattivi, ben visibili direttamente nei loro covi. Tante lucette intermittenti di tutti i colori e grandi ruote che, muovendosi a scatti, dipanavano enormi quantità di nastro magnetico.
La tecnologia di archiviazione per l’elaborazione dei dati, del resto, era quella: ingombrante e lenta, confinata nelle grandi aziende e negli enti governativi.
Faceva eco con il sistema povero delle schede di carta perforate, utilizzate ancora negli anni ’70 dalle aziende all’avanguardia nell’utilizzo della nascente era informatica, (quasi) per tutti.
Le unità a nastro – questo era il loro nome – processavano i dati con una lettura/scrittura sequenziale, un bit dietro l’altro, avanti e indietro.
Un mal di testa che non consentiva certo grandi velocità di esecuzione…
La tecnologia inizia però ad accelerare e a fare un passo avanti con l’avvento dei dispack, contenitori circolari grandi come ruote di bicicletta, dotati internamente di uno o più piatti metallici. Contemporaneamente alla veloce rotazione, un cursore ci scorreva sopra con il compito di leggere e scrivere delle tracce magnetiche cariche di bit.
La capacità di memoria era modesta, e anche se parliamo di pochissimi megabit, la sostituzione della lettura/scrittura sequenziale con un sistema dinamico, migliorava di parecchio l’elaborazione sia in velocità che in sicurezza.
La tecnologia non era così raffinata come oggi, la poca capacità era da addebitarsi alla bassa densità delle tracce magnetiche, disposte sulla superficie dei piatti, intesa come distanza tra una traccia e l’altra.
Nel periodo iniziale della loro apparsa sul mercato, i piatti interni al dispack erano utilizzati solo su un lato e singola densità magnetica.
Un paragone con i dischi di oggi, riferito alla distanza tra le tracce magnetiche? Un po’ come se il mio vicino di casa – che ieri viveva a 100 metri – oggi si trovasse a una distanza di pochi millimetri da me.
Ma il buon vecchio nastro magnetico, che fine ha fatto?
Per un periodo, prima di sparire definitivamente, è stato relegato a supporto di backup, con un grado di sicurezza quantomeno incerto, che posso garantire per esperienza vissuta.
Arriva la meteora “personal computer” e di conseguenza nasce la necessità di supporti magnetici di dimensioni ridotte e più maneggevoli per le nuove apparecchiature.
Scartato il nastro magnetico che – sia pur ridotto a musicassetta – avrà ancora un attimo di gloria con i primi home computer come il commodore 64 e il sinclair ZX, il disco magnetico finalmente s’impone.
Il floppy disk, flessibile e sottile, nasce con la rispettabile dimensione di 8” e una capacità di memoria pari a 128Kb che evolveranno velocemente a 256Kb per attestarsi – al massimo della gloria – a 512 Kb.
La tecnologia ancora non corre, ma ha preso a camminare di buon passo e, nel calderone delle tante novità e migliorie, inizia a ridursi progressivamente la dimensione del floppy disk e, allo stesso tempo, aumenta la capacità di archiviazione. Dal floppy da 5”, con un supporto ancora flessibile e capacità pressoché immutate, si passa al 3,5”, un disco sottile e flessibile alloggiato in un contenitore di plastica rigida, con una capacità di 512 Kb che, prima di scomparire dal mercato, arrivò a 1000 Kb ossia 1 Mb.
Il regno dei floppy disk da 5” e 3,5” è stato discretamente lungo. Il suo declino ebbe inizio con l’arrivo sul mercato dell’hard disk, il disco rigido, relegando il floppy disk al ruolo di backup o poco più.
Così, finalmente, arriva l’hard disk. È la solita IBM ad inventare il disco rigido nel 1956, il 350 Disk Storage Unit.
Il primo prototipo era costituito da 50 dischi del diametro di 24 pollici (circa 60 cm) e poteva immagazzinare circa 5 megabyte di dati.
Era grande quanto un frigorifero, con un peso di oltre una tonnellata. Decisamente poco pratico.
Ma nel 1970 nasce, per contrapposizione coi neonati floppy disk (dischetti), l’hard disk (disco rigido) o come dicono i francesi “disco duro”.
Il primo modello per pc fu prodotto da Seagate Technology nel 1980, aveva una capacità di 5 MB, diametro di 5,25 pollici ed era dotato di motore passo-passo, uno per la rotazione dei dischi rigidi e un secondo per il movimento delle testine.
Una nota interessante, che riguarda la nostra storia imprenditoriale, racconta come negli anni ‘70 una consociata Olivetti, che forniva i dischi rigidi per i computer M24, storicamente fu l’unica in Europa a impegnarsi in progettazione, sviluppo e produzione di questo tipo di periferica.
My name is Drive. Solid State Drive
Ancora oggi, il disco rigido rimane il dispositivo di memoria di massa più utilizzato essendo presente nella maggior parte dei computer. Per lungo tempo è stato l’unica scelta possibile sui personal computer, ma l’evoluzione non perdona.
E l’evoluzione si concretizza in una inesorabile perdita di quote di mercato a favore delle più recenti e veloci, ma anche più costose, unità a stato solido (SSD, Solid State Drive), piccoli nella dimensione ma con grandi capacità di memoria.
Nel campo della tecnologia, non solo nello specifico settore della IT, è dimostrato che le dimensioni non contano: il rapporto tra la struttura e dimensione del ferro e gli elementi di velocità e capacità è sempre più grande rispetto allo stesso sistema precedente.
L’esempio della memoria di massa per i computer è significativo. Attualmente, con tutta l’evoluzione tecnologica che ci consente di contenere unità di misura come i terabit in una dimensione di hard disk da 2”, il rapporto dimensione capacità si esprime in 4 volte più piccolo ma 3.906 volte più capace.
Oggi, senza essere gli 007 della lunga saga di Fleming, siamo abituati a non avere limiti di memoria da utilizzare, considerando che il costo per bit memorizzato è piccolissimo, ma non è trascorso troppo tempo da quando usando due unità a floppy disk si riusciva a gestire una media azienda.
Il nostro viaggio nel mondo dell’IT è solo all’inizio.
Mancano ancora quattro tappe per immergerci nell’attualità.
Il prossimo episodio? Eccolo qui. Parleremo di computer super specializzati e dell’inizio di una nuova stagione…
Se però ti sei perso la prima puntata, leggi “Dalla terra dei giganti verso l’evoluzione di oggi”.
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