La nascita dei primi computer a basso costo avvenne nella seconda metà degli anni Settanta, quando si diffuse l’idea di portare i pc anche nelle piccole aziende e nelle famiglie.
A vederli con gli occhi di oggi sembrano giocattoli o poco più. I dati venivano salvati sulla cassetta di un registratore vocale, la memoria ram e la velocità di esecuzione era adeguata alla semplicità dei programmi che si potevano sviluppare e far girare.
Ma analizzandoli con attenzione è interessante notare la tendenza ad ottenere sullo schermo (che, in realtà, era il televisore di casa in bianco e nero) una resa d’immagine diversa dai soli caratteri.
È proprio con questi che si cominciarono a comporre le prime schermate semi grafiche.
Anche se il bianco e nero del televisore di casa o i fosfori verdi dei primi monitor, con la loro bassa risoluzione, non erano certamente di grande aiuto…
Il MITS Altair 8800 fu uno tra i primi microcomputer disponibili sul mercato.
Presentato in copertina nel numero di gennaio 1975 della rivista “Popular Electronics”, diede inizio all’era dell’informatica per tutti.
Prima di allora, come già raccontato nell’approfondimento “Dalla terra dei giganti verso l’evoluzione di oggi”, il termine “computer” era sinonimo di macchine grandi e costose che potevano permettersi solo le aziende più importanti.
Il costo di questo primo microcomputer, invece, ammontava a 397 dollari in kit; 495 dollari nella versione assemblata.
l Commodore VIC-20 e il successivo Commodore 64, sono forse gli home computer più famosi e affermati prima dell’arrivo sul mercato dell’asso pigliatutto Apple II.
Il C64, prodotto e commercializzato dall’ottobre 1980 al gennaio 1985, fu proposto come home computer per la famiglia e per il gioco, ottenendo un grande successo di vendite, con diversi milioni di unità prodotte e vendute.
Altro nome di rilievo è lo ZX Spectrum, un home computer creato e prodotto dal 1982 fino al 1986 dalla Sinclair Research Ltd, e dal 1986 al 1992 dalla Amstrad.
In Europa fu il principale antagonista del Commodore 64 e conquistò un discreto settore di mercato grazie ad un prezzo di listino più economico.
L’arrivo in ufficio del primo Apple II destò stupore e sorpresa.
Era tutto di solido metallo pressofuso, composto da unità centrale integrata con la tastiera, due unità floppy disk da 5” staccate e indipendenti e un monitor da 9” a fosfori verdi.
Una volta collegati rapidamente i componenti e infilato il dischetto di bootstrap per avviare il sistema, uno dei primi programmi ad attirare l’attenzione era il gioco “Olimpiadi”, che permetteva di cimentarsi con alcuni sport di atletica leggera.
Con i tasti freccia si pilotava sullo schermo un’esile figurina verde, molto semplice ma ben definita dalla buona risoluzione del monitor e sorprendentemente reattiva ai comandi.
L’Apple II, tra i primi home computer realizzati su scala industriale, riscosse un enorme successo commerciale; complessivamente si stima che ne siano stati venduti quasi 5 milioni di esemplari.
Influenzò più di ogni altro il mondo degli home computer e ancora oggi è il computer più longevo di tutti i tempi. Presentato il 16 aprile 1977 durante la prima edizione della Fiera del computer della West Coast di San Francisco e messo in commercio due mesi dopo, è infatti rimasto in vendita fino alla fine del 1993.
Comunque sia, sull’onda della novità per eccellenza – ossia il PC IBM, di cui si parla anche in questo articolo pubblicato sulla rivista Wired – altre aziende iniziarono a produrre computer simili, maggiormente orientati per struttura e architettura ad accogliere e far girare il software gestionale destinato all’amministrazione aziendale, lasciando in secondo piano le caratteristiche grafiche per i pochi e primordiali giochi disponibili.
Toshiba, che poi si distinguerà per la produzione dei primi portatili, e Olivetti, che avrà momenti di gloria con la linea dei PC M20, iniziarono a produrre e commercializzare computer orientati ad accogliere programmi di gestione aziendale.
Solide scatole di ferro con poca plastica, mostravano tutto il loro peso; più fisico che di cervello.
La svolta del crescente interesse, verso i PC, da parte delle aziende, diede il via all’epoca pioneristica degli importatori distributori, che con gran coraggio iniziarono ad avventurarsi nella commercializzazione di un qualcosa di nuovo in un mercato ancora tutto da scoprire.
Per esempio, i primi personal computer commercializzati in modo organizzato da Giusti srl furono i Toshiba siglati T200: un unico blocco integrato, con carrozzeria interamente in lamiera, unità centrale, tastiera, monitor 9” a fosfori verdi con una risoluzione imbarazzante e due unità floppy da 5”.
Con queste modeste caratteristiche, più o meno comuni a tutti i PC del periodo, si riuscivano a sviluppare e far girare software di gestione aziendale, contabilità, magazzino, bolle, fatture e poco altro; un periodo esaltante, dove tutto era nuovo e in rapida evoluzione.
Le difficoltà maggiori per lo sviluppo qualitativo dei software applicativi? Senza dubbio la memoria di massa e la sua scarsa capacità che, nel caso dei dischetti da 5”, era di solo 360kb.
Il problema consisteva nel fatto che lo spazio dei dischetti non aumentava di pari passo alle esigenze e, per esempio nel caso di Giusti srl, ad un certo momento, la situazione era resa più difficile, in quanto Toshiba, rispetto ad altri produttori, era in ritardo nell’aggiornamento dei propri PC con memorie di massa più capienti.
Con “winchester” non intendiamo la saga televisiva ma una innovazione, un disco rigido tecnologia Winchester con ben 5Mb di capacità. Riuscimmo ad installare e far funzionare perfettamente questa unità, sul T200, modificandone la bios di sistema.
Disporre di tanto spazio produsse negli sviluppatori una lunga serie di capogiri…
Si trattava, infatti, di una tecnologia nuova che in piccolo – le dimensioni fisiche erano uguali a quelle di una unità a floppy disk da 5” – riproduceva il funzionamento dell’ingombrante e giurassico disc pack di cui abbiamo già parlato nella seconda puntata del nostro racconto, “Supporti magnetici, dalle unità a nastro al Solid State Drive”.
Ogni novità ha i suoi eccessi.
Nel corso degli anni ’80 furono vari i tentativi di immettere sul mercato personal computer specializzati all’eccesso.
Toshiba non è mancata all’appuntamento con un super specializzato Txxx (ndr. di cui non ricordo la sigla): due floppy disk da 8”, era adibito esclusivamente all’attività – neanche troppo sofisticata – tipica dei programmi di word processor. Insomma, un equivalente molto ridotto dell’usatissimo Microsoft Word.
La struttura, anche se più grande e pesante, era tipica del T200 già citato, con due enormi fessure per ingoiare due floppy disck da 8” della capacità di soli 160 Kb: in uno il programma, nell’altro i documenti.
La stampante di corredo, specializzata nella stampa di pagine in bella copia, era una ingombrante e pesante Oki con testa di scrittura a margherita, intercambiabile.
Acquistando le testine prodotte da IBM, si potevano utilizzare font diversi.
Però, quando partiva a stampare, il rumore che produceva era a dir poco infernale…
Il nostro viaggio nel mondo dell’IT prosegue. Mancano ancora tre tappe per arrivare fino ai giorni nostri.
Nel prossimo episodio parleremo di: Come l’utente si doveva improvvisare giocoliere per utilizzare gli applicativi e i dati.
In particolare vedremo la competizione, agli albori dei PC, tra Microsoft e Digital Research e quanto questo abbia influito sullo sviluppo dei programmi e sul loro uso.
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